Dal 1898 al 1903, a Messina, nel noto Palazzo Sturiale soggiornò il grande poeta del novecento italiano Giovanni Pascoli

Qui a Messina il sommo poeta del novecento italiano Giovanni Pascoli vive il momento più alto e fecondo ella sua immensa produzione letteraria. Da quel balcone udì le voci che gli diederò una vena creativa senza pari. A Messina partorì e diede alla luce i Primi Poemetti di cui fa parte la bellissima l"Aquilone" (leggi sotto) ; poi firmò con originalità e acutezza la sua "Minerva Oscura", critica letteraria dantesca di grande spessore ed infine plasmo e completò il ricordato e sempre attuale "Il Fanciullino". Domenica 28 Settembre il comitato cittadino 100 messinesi per Messina 2mila8 ha voluto ricordare attraverso l'epigrafe di una lapide marmorea, a tutti quei passanti distratti, che a Largo Risorgimento, meglio conosciuto come Piazza Don Fano, dal 1898 al 1903 ci abitò Giovanni Pascoli. Presenti alla manifestazione il cultore di Storia Patria, l'Arch. Nino Principato, il Professore dell'Università Rando e l'ex docente della cattedra messinese di letteratura Italiana, il Prof. Gianvito Resta il quale, bisogna sottolineare, fu il primo a compiere ricerche e studi di gran pregio sul soggiorno messinese del poeta natio di S.Mauro di Romagna. Davanti alla gente comune e ai dottori della cultura cittadina hanno presenziato anche alcuni consiglieri comunali e l'Assessore alla Pubblica Istruzione Magazzù che con fare solenne hanno promesso alla città intera di volersi attivare per realizzare un museo pascoliano all'interno dell'appartamento che a detta dei rappresentanti di Palazzo Zanca potrebbe essere espropriato per pubblica utilità così da renderlo fruibile a tutti i turisti in visita nella nostra città. Speriamo che le solite buone intenzioni non restino le ripetitive e lagnose chiacchiere da buddaci.

Per le curiosità su Giovanni Pascoli e le sue opere invece clicca qui:
http://www.fondazionepascoli.it/

Primi Poemetti

L' aquilone (scritta a Messina)

C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,

anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:

un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.

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